Dopo le dimissioni di Berlusconi e l’incarico a Monti, tutto sembrava dirci che in pochi giorni il caos italiano avrebbe trovato un suo nuovo ordine. E invece no: i mercati restano aggressivi, lo spread si mantiene alto e, anzi, continua a salire, le difficoltà per la nascita del governo d’emergenza si moltiplicano…
In una parola, l’Italia è ancora nel pieno della bufera e chi pensava che la liberazione del Paese da Berlusconi avrebbe risolto da solo, come per incanto, i problemi si deve ricredere.
La verità è che la cacciata del Cavaliere è solo una parte, importante certo ma affatto risolutiva, del problema italiano e del grado di arretratezza che connota – ormai da decenni – la struttura economico-sociale e anche politico-istituzionale del Paese: la situazione comincerà a trovare il suo nuovo ordine quando e se nascerà il governo del presidente e quando e se il governo Monti comincerà a mettere mano seriamente ai problemi strutturali dell’Italia, oltre che alla messa in sicurezza dei conti.
Ma c’è, in giro, la consapevolezza necessaria che questa è la natura e la portata della posta in gioco?
Ancora una volta, qui, si può cogliere – almeno stando ai sondaggi – il distacco profondo tra il sentire della maggioranza della gente (che si schiera per il governo di emergenza) e l’agire di una parte delle forze politiche.
Parlo sia di quelle che si sono tirate fuori dallo sforzo di responsabilità che oggi dovrebbe impegnare tutti, indistintamente, sia di quelle che, pur essendosi dichiarate disponibili a sostenere il governo tecnico, tuttavia lo stanno facendo con il mal di pancia e non rinunciando neppure a piazzare trappole lungo il percorso e a far balenare la possibilità di un loro smarcamento di qui a qualche mese, se non si fa quel che dicono loro, come nel caso del PDL.
Capisco che, di fronte alla sconfitta subìta dal Cavaliere e alla perdita da un giorno all’altro del governo del Paese, non sia facile per il PDL adattarsi a una realtà che tende a muoversi in direzioni e su terreni oggettivamente assai diversi e indigeribili per chi, finora, aveva pensato di poter risolvere i problemi facendo – come sempre – ricorso alle parole e alla fiction, epperò è proprio in situazioni come l’attuale che si misura la consistenza e la grandezza delle varie forze in campo e dei loro gruppi dirigenti e bisogna dire che il PDL non sta proprio dando prova di essere all’altezza.
Contrariamente al PD, che ha compreso – in tutte le sue varie componenti – non solo la gravità del momento e la necessità di non far mancare in nessun modo e senza porre condizioni di alcun genere il proprio sostegno, ma anche che lo sforzo che il momento richiede rappresenta in realtà, per il PD, un’opportunità – che esso deve saper cogliere – per far fruttare fino in fondo e a beneficio dell’Italia una ispirazione culturale e politica riformista fondata sull’equità e la modernizzazione democratica del Paese.
In questa situazione, quello che colpisce sono anche le argomentazioni che vengono portate a giustificazione o del rifiuto puro e semplice di uno sforzo comune per il risanamento e il rinnovamento del Paese o di un impegno accettato solo in parte e obtorto collo per far arrivare a buon fine il tentativo messo in atto dal professor Monti, sotto la spinta e il patrocinio di un grande e lungimirante Presidente della Repubblica.
Ecco un piccolo florilegio di questi “argomenti”.
Innanzitutto: il governo tecnico deve essere a tempo e non deve uscire fuori dal seminato (lettera Bce)… E perché? Chi è in grado di misurare a priori il tempo necessario per mettere in sicurezza i conti e avviare la crescita – senza della quale non si dà il risanamento dei conti – e che è fatta non solo di manovre finanziarie e ricerca di risorse, ma anche di riforme? E che credibilità può avere – sul piano europeo e internazionale – un governo a termine e che non può intervenire su tutte le questioni sulle quali c’è da intervenire per il buon esito dell’impresa?
E’ chiaro che siamo solo di fronte a un pretesto che punta a impedire di cogliere, come Paese, una occasione di riscatto e di compiere scelte che necessariamente – se vogliono guardare al futuro – debbono toccare lo stato di cose presente, quello cioè che ci ha portato alla crisi attuale.
Dello stesso segno sono gli altri due argomenti-principe che, in tutti i talk show, risuonano ormai come un ritornello sulla bocca di chi ha scelto di farsi da parte rispetto al nuovo governo o di aderirvi perché in qualche modo obbligato, senza distinzioni tra chi si colloca a destra e chi si colloca a sinistra.
Parlo del commissariamento della democrazia (e, di conseguenza, della politica) e del mettere il bastone del comando nelle mani di chi (come Monti) è espressione del potere delle banche che è quello che porta la responsabilità della crisi attuale.
Che ci sia un deficit di democrazia – e non da oggi – come una perdita di primato da parte della politica, non lo scopriamo oggi. Solo che l’uno e l’altra non stanno nel fatto che non si va immediatamente al voto o al referendum (come nel caso della Grecia) e si sceglie invece la strada del governo tecnico (che, comunque, è sempre la politica a decidere di scegliere, non altri) o, ancora, nel fatto che la Bce e l’Ue ci dettano le linee principali del compito.
La crisi della democrazia e la perdita di ruolo della politica stanno – come tutti ormai dovremmo sapere – nella globalizzazione selvaggia di questi decenni dominati dal liberismo e nell’arresto del processo di unificazione politica dell’Europa, a seguito della prevalenza di governi conservatori in quasi tutto il continente, e quindi nell’assenza di adeguate istituzioni democratiche, in grado di guidare l’economia e la crescita nell’interesse di tutti i popoli europei: è tutto questo che oggi scontiamo sia sul piano della democrazia e del ruolo della politica sia sul piano degli input che ci arrivano dall’Europa sia, ancora, sul terreno di una crisi economica e sociale sempre più grave e che tocca in realtà – anche se in misura diversa – tutta l’Europa. Ed è chiaro che solo se c’è un governo, anche in Italia, che guarda anche a questi aspetti della crisi ed è in grado di agire anche su questi terreni, noi possiamo lavorare a superare le difficoltà di oggi e scegliere i sacrifici da fare: Berlusconi non l’ha fatto (per scelta, innanzitutto), Monti può farlo perché è un convinto europeista.
Quanto poi a Monti strumento della finanza, è davvero una barzelletta: Monti è innanzitutto un cittadino italiano, fornito di grande senso civico e dello Stato e che per giunta ha delle competenze tecniche di altissimo livello, è quindi innanzitutto e soprattutto una grande risorsa per il Paese! E sbaglia perciò di grosso chi pensa – se Monti riesce, come io auspico fortemente, a formare nel più breve tempo possibile il nuovo governo del Paese – che questo non sia nell’interesse di tutti e che tutti quindi siamo interessati a dare una mano. In primo luogo le forze politiche, ovviamente: in momenti come questi, la capacità di fare un passo indietro e di anteporre gli interessi dell’Italia ai propri interessi (come sta facendo, ad esempio, il PD) è un titolo di merito e ridà dignità e credibilità alla politica!
Del resto, l’alternativa non è difficile da vedere: è il rischio di una comune rovina (e questo vale anche per l’intera Europa, non solo per noi, perché la crisi sta via via assumendo sempre più i caratteri di una crisi sistemica).
Marx – che nel mondo contemporaneo sta tornando di attualità proprio a causa della crisi – nel Manifesto del Partito Comunista, scritto e pubblicato a Londra nel febbraio del 1848, ricorda come “la storia di ogni società esistita fino a questo momento è storia di lotte di classi” e che ogni volta, nelle varie epoche, la lotta tra le classi in quel momento in campo “è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta”.
Oggi che lo scontro tra ricchi e poveri, esclusi e inclusi, ecc. interessa e agita tutto il pianeta e l’Italia, naturalmente, dove le diseguaglianze si sono terribilmente moltiplicate in questi anni, queste parole andrebbero tenute presenti e apprezzate bene da tutti, per esorcizzare lo spettro di una possibile comune rovina attraverso l’assunzione – da parte di tutti – di comuni e chiare responsabilità.
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